sabato 12 marzo 2011

venerdì 25 febbraio 2011

Investimento libidinale.

Investimento libidinale

Amore e rivoluzione ai tempi della crisi

***


Appoggiato sulla balaustra del palazzo dei congressi, vedo il bus partire.

Ho evitato di attendere la partenza alla fermata per non sembrare troppo … diciamo ridicolo, anche se non è il termine migliore. Voglio evitare di dare l’idea di quello che si prende subito per la prima ragazza che gli presta attenzione, ma … se ho passato tutta la notte in giro per Parigi assieme ai compagni di Rimini è perché Sabrina e i suoi occhi mi avevano stregato.

Meglio non starci a pensare.

L’umido che mi entra nelle ossa mi ricorda perché abbiamo passato un’ora nella metropolitana. L’attesa della partenza del primo metro.

Mi avvio, a passo lento, verso l’Arco di trionfo. Non ho fretta di tornare subito a casa, anche se dovrei. Tre giorni e tre notti di full immersion in un’assemblea che ha chiamato a raccolta compagni da ogni angolo d’Europa e anche fuori. Alla fine quando abbiamo deciso di andare in Tunisia?

Io e Sabrina ci siamo lasciati senza neanche un bacio. Solo un lungo abbraccio e la promessa: vengo a Rimini a trovarti. I suoi occhi mi rispondevano assicurandomi che avrei di certo trovato ospitalità, mentre Simone, la Fede e Mari salivano veloci sul bus che li avrebbe portati all’aeroporto.

Porte Maillot.

Primo bus del mattino. Destinazione Beauvais.

L’aeroporto più sfigato di Parigi. Lo stesso che mi ha convinto a bandire dalla mia lista viaggio una precisa compagnia aerea, preferendo piuttosto 12 ore di treno.

Ma questo lo apprendi con l’esperienza. Dopo tanti viaggi a Parigi. Me ce ne sono voluti due per convincermi a trasferirmi qui. Per loro invece è appena la prima trasferta nella capitale d’oltralpe. Anche per Fabrizio, solitario compagno di Milano che aveva deciso all’ultimo minuto di venire qui, a differenza di quell’altra dozzina di suoi concittadini che stanotte hanno insegnato agli inglesi che cos’è e come si fa un cordone.

Corso teorico e pratico di poche ore e molte birre. Sede un bar Antifa e le vicine strade di Mènilmontant, un tempo zona tosta della città, ora solo un po’ più colorata rispetto ad altre.

Nello stesso locale il mio sguardo si accorto di quella dolce ragazza che corrisponde al nome di Sabrina. Vorrei poter dire che sono stati per davvero i suoi occhi a colpirmi per primi, ma sono un uomo come tutti e con alcune bassezze più sviluppate rispetto a molti altri. I suoi “occhi” ed il loro “taglio” avevano catturato la mia attenzione.

Quel sorriso che solo a me sembrava riservare mi aveva spinto a dirmi: in qualunque maniera evolva la serata io non mi devo separare dal suo gruppo.

E la serata si è evoluta fino alle sei e mezzo del mattino, con me che cammino sotto una pioggia fine, appena accennata, appena iniziata. La pioggia mi fa compagnia verso il prossimo metro.

Sono tre giorni che casa mia è diventata un micro campo di accoglienza per giovani di mezza Europa. Stanotte molti dovrebbero essere già partiti, il meeting si è concluso nel pomeriggio dopo un assemblea plenaria che, sebbene non abbia deciso il nome da dare al nuovo movimento nascente, ha lasciato aperti sul campo gustosi progetti che non si vede l’ora di mettere in piedi ...

Progetti collettivi e personali. E a me Rimini non è mai sembrata così interessante: non fanno che girarmi per la testa quel suo tiospitovolentieri, quel bacio che non c’è stato. Ho amato e odiato al tempo stesso la sua mano che scostava le mie labbra troppo vicine alle sue.

Che sbandata!

Pensiamo piuttosto a quello che si è deciso. Che poi dovrò scrivere un pezzo per informare i vari compagni che al meeting non hanno potuto esserci.

Le 5 w, dette anche le 2 c e le tre solitarie d, p e q.

Chi.

Cosa.

Dove.

Quando.

Perchè.

I giovani dei movimenti universitari contro la crisi.

Affrontare assieme lo sfacelo economico che i nostri governanti sono incapaci a gestire.

A Parigi.

Il weekend appena trascorso.

Ne abbiamo pieni i coglioni.

Da questi cinque punti in teoria dovrei ricavare una cartella di 150 battute. Assieme a un come buttato da qualche parte che dovrebbe dare lo slancio progettuale.

Come …

Intanto a fine marzo, il 26, ci si organizza per una giornata di mobilitazione comune contro le banche. Gli studenti di tutta Europa si ritroveranno per dire che non sono proprio d’accordo che scelte che gli istituti finanziari stanno intraprendendo.

Da quando ho visto le immagini degli studenti inglesi e italiani che assaltavano i rispettivi parlamenti, ma in tempi diversi, mi sono sempre chiesto come sarebbe se queste cose avvenissero in contemporanea per tutte le capitali. Se siamo bravi a fine marzo avrò questa risposta.

Per noi che stiamo qui a Parigi significa non darci nemmeno un attimo di pausa. Nemmeno finita la tre giorni di assemblea a metà febbraio, che bisogna subito ripartire per lanciare una manifestazione nazionale, prendendo accordi con tutti i vari gruppi francesi.

Fosse solo questo. Alla plenaria conclusiva ho anche espresso la volontà dei vari studenti e ricercatori italiani che stanno a Parigi di voler occupare uno spazio. I ragazzi di Milano ne sono entusiasti, mi hanno proposto di prendere il nome del loro centro sociale e tradurlo in francese. Le chantier. Questo per facilitare il processo di trans nazionalità delle lotte verrà sviluppato ed applicato nello spazio che voglio/vogliamo occupare.

Ma se posso personalmente essere d’accordo sul nome da dare al centro, cosa su cui dovrò parlarne con gli altri, sul nome da dare al movimento si è ancora in piena discussione.

Mentre ieri sera, la mia testa stava saldamente appoggiata al mio pungo per cercare di riprendere fiato dopo tre notti insonni, un compagno di Milano, barbetta incolta e capelli medio lunghi, mi costringeva a sentire le sue argomentazioni sulla sua proposta di nome. Knowledge Liberation Front.

Figo.

Peccato che per me i fronti di liberazione hanno perso legittimità da quando anche i nani di giardino ne hanno uno.

Ma è ironico.

Mah!

KNANK. La mia proposta. Lo ammetto ha dei limiti, però mi esalta pensare che per almeno mezza giornata aveva trovato il plauso di un compagno che per molti è un mito vivente.

Capelli bianchi e arruffati, occhiali spessi e dalla grossa montatura nera di plastica, a quello che è da sempre considerato il comunicatore del movimento gli si sono illuminati gli occhi quando gli ho accennato la mia proposta. Un semplice acronimo. Una contrazione di tre sole lettere, sufficienti a indicare chi siamo, chi è l’antagonista e il nostro rapporto con lui.

Knowledge Against Bank.

KNANK.

Ma è bellissimo. Anche perché non vuol dire proprio un cazzo.

Semplice e diretto come il gancio di puglie, come i pugni del batman-trash anni 60. Il nome racchiude l’energia, la rabbia e la creatività di questo nuovo movimento nascente di giovani incazzati.

Un’onomatopea palindroma che sconfina nell’assurdo.

E di nomi assurdi dati ai movimenti ce ne sono a bizzeffe. Pensiamo ai Katanga, il servizio d’ordine di Lotta Continua …

Mi sono però dimenticato di chiedere a Sabrina cosa ne pensava.

Era più divertente la storia sua e dei suoi compagni di Rimini: la prima notte hanno dormito in un parco. Arrivati tardissimo la sera del primo giorno, in un’ora in cui tutti ormai si erano ritirati o nello squat oppure a bere birre a Belleville, questi non avevano la minima idea di dove avrebbero dormito. Gli accordi presi per telefono li avevano portati dalla parte opposta della città, ben lontani dal locale occupato che ospitava i vari compagni stranieri.

Dopo aver raggiunto, con difficoltà, un altro spazio che ha rivelatosi essere chiuso per quella sera, hanno scelto di andare a dormire in un parco. A febbraio. In piena banlieue parigina.

Non faceva freddo. La zona è molto meno tesa di tante altre periferie. Al primo accenno di problemi Simone si è alzato dal cespuglio in cui si era rifugiato, mettendo ancora più in fuga un gruppo di ragazzi che già scappavano da altro. Da polizia. Banda rivale. O che …

Mentre gli correvano incontro, inconsapevoli, Simone si è alzato senza uscire dal suo sacco a pelo contrapponendo a quella banda il suo gracile corpo e il suo viso segnato da notti non facili. Un vampiro barbonizzato spuntato dal nulla.

Uno della banda ha messo le mani in avanti, e urlava nonono mentre continuava a scappare.

Ci ridevano come matti quando mi raccontavano la storia in metropolitana. Sabrina aveva cominciato a tenermi per mano. Eravamo ormai sulla via del loro rientro a casa. Ci restavano ancora poche ore assieme.

Ero tranquillo.

Con lei quella notte non sarebbe mai successo nulla. Non ne avevamo il tempo, o gli spazi … meglio godersi la serata, e quel poco che ancora ne restava. A resistere un’ora in più alla stanchezza che ci continuava a salire ed assalire. La testa appoggiata sulle spalle era un’intimità che più che sufficiente.

Ma basta pensare a questo!

Devo prendere la metropolitana. Pensare a cosa scrivere. Al tragitto che devo fare. A quanto mi manca ancora prima di prendere sonno.

Non pensiamo a lei che sennò mi ci perdo, e stanco come sono mi faccio un trip senza nemmeno aver bisogno di drogarmi …

Si diceva? L’assemblea. L’appuntamento del 26 marzo. Il nome …

Il nome!

Il giorno successivo, il terzo e ultimo, il mito dai capelli bianchi mi si avvicina per chiedermi un parere.

Che cosa ne pensi tu di questo nome? Knowledge Against Financial Capitalism. KAFCA. Ricorda l’autore, si riprendere così anche la pratica del book block e il nome esce dall’ambito puramente militante. KNANK è bello, ma è ancora troppo militante, raccoglie attorno a sé gente che stiamo già raccogliendo. KAFCA è invece più generale ed esprime quella tendenza emo, quel senso di frustrazione che è diffusissimo. Ci si può identificare anche chi non è attivista.

Ma non sarà forse troppo claustrofobico?

Certo! È la crisi che ci ha gettato in una situazione claustrofobica: per uscirne dobbiamo prima di tutto riconoscerlo.

Tre persone diverse e tre proposte di nomi differenti. Il momento della plenaria in cui si ha discusso del nome non è tra quelli che vorrei ricordare. La lungimiranza degli organizzatori ci ha convinto a trovare un accordo sul nome in separata sede, su internet, nel nuovo forum attivato. Nella speranza di avere per la settimana prossima un nome condiviso.

Qual’era poi l’indirizzo?

we.riseup.net/parismeeting11feb …

C’è stato molto pragmatismo in questi tre giorni. E dire che poteva degenerare fin da subito, con l’intervento polemico di un professore ellenico che voleva discutere di capitalismo cognitivo, operaio sociale, general intellect ... Assieme a lui altri franchi tiratori del teorismo, in mezzo a un assemblea che voleva condividere le proprie esperienze, le proprie lotte.

Il clima cambia quando dei ragazzi di Roma trasmettono un video da loro girato e montato, come specie di intervento. A ogni fotogramma degli scontri del 14 dicembre nella capitale italiana una tensione collettiva attraversa i nostri corpi. A ogni book block, a ogni camionetta incendiata ciò che portiamo dentro esplode in un incontenibile applauso.

La nostra carica sale a mille, quando a fine video viene annunciato che Mubarak, il presidente dell’Egitto, si è dimesso sull’onda delle rivolte popolari. Boato.

La sala sembrava tremare per il battere di mani e piedi inarrestabile.

Una ragazza ha preso la parola. È stato sufficiente dire le sue origini per catturare l’attenzione di tutti noi, far partire un altro applauso e ascoltare in rigoroso silenzio quello che aveva da dire. Tunisia. Era là quando un popolo ci ha ricordato che possiamo ancora parlare di rivoluzione.

Lei è piccola di statura, è difficile immaginarsela col cappuccio alzato e il viso coperto a lanciare pietre contro la polizia di regime. A sfuggire dai lacrimogeni e dalle pallottole vaganti. Lo stesso discorso vale per Sabrina, eppure riesco a immaginarmi il suo dolce sorriso protetto da un casco, mentre correre da un lato all’altro del corteo studentesco per organizzare i ragazzi che si muovono verso la stazione.

Sarà perché anche io, come lei, vengo da una piccola città. Uno degli ambienti più difficile dove costruire un percorso politico. La sua esaltazione verso certi discorsi la riconosco perfettamente, e quel senso di frustrazione che ti sale ogni volta che pensi a com’è la tua piccola realtà mi è fin troppo familiare. Ma il progetto che hai sempre in mente ti aiuta a tenere il sorriso, a pensare che la prossima iniziativa sarà migliore di quella passata.

Per quanto mi ostini, ogni volta che ragiono sull’assemblea finisco per pensare lei. Per fortuna che mancano ancora poche fermate. Poi posso concedermi all’oblio.

Il campo d’accoglienza che è camera si deve essere ormai svuotato. I due sardi mi hanno detto di aver trovato ospitalità da una loro amica, passeranno domani a prendere le valigie. Verso ora di pranzo. Sul tardi.

I tre russi hanno già lasciato Parigi: il loro aereo partiva poche ore dopo la fine dell’assemblea. Caspita quanto erano magri!

Mancavano a partire i tre tedeschi: ancora saldamente presenti nel mio appartamento, quando verso l’una avevo deciso passarci per un caffè assieme ai compagni di Rimini. E anche per recuperare un po’ di wiskhey, prima del giro notturno sotto il Notre Dame. Dovevano andarsene per mezzanotte, ma avevano trovato la maniera per restare in città ancora un paio di ore. Da me.

Ora. Casa mia. Dovrebbe essere. Libera.

Comunque, voglio solo dormire.

Spostare l’interruttore su OFF.

OFF da tutto.

Avrò tempo per scrivere il pezzo. Per aggiornare la lista di contatti facebook e skype. Per organizzarmi assieme agli altri, qui a Parigi, per la giornata di azione comune del 26 marzo. Per cominciare a lavorare concretamente per occupare un posto. Per capire come si organizzerà la carovana per andare a Tunisi – se vogliamo capire bene come hanno fatto, bisogna andarci di persona – e per capire se riesco ad andare a giugno alla prossima assemblea a Londra.

A maggio c’è il G8 dell’università a Digione.

Poi il primo agosto si dovrebbe occupare Monaco. Ma che avranno in testa questi tedeschi?

Devo quindi andare a Rimini e magari anche a Milano, per un corso di formazione su come si occupa e si gestisce uno spazio. Praticamente ospite per un po’ di giorni dai compagni meneghini.

E dove lo trovo il tempo per fare tutto questo?

Ho qualcosa che si chiama lavoro … in attesa che arrivi qualcosa di simile a un reddito garantito.

Potrò rinunciare a tutto, ma non a Rimini.

Percorro gli ultimi metri verso casa, mentre provo a pensare quanto mi potrebbe costare. Ma la mia mente è fuori controllo per le mille immagini rievocate a ripensare questi tre giorni.

Lei dice bruciato in piazza … dalla santa inquisizione … forse perduto a Cuba … nella rivoluzione.

E de Andrè: esci dalla mia testa!

Knank. Milano. Quanto magri che erano gli ucraini? La periferia di Parigi. I workshop dell’assemblea. Gli inglesi che non sanno come si fa un cordone. Il bar antifa di Mènilmontant. L’assemblea per discutere del nome. La notte insonne per Parigi con Sabrina e un po’ di wiskhey.

Riimiinii.

Non riesco a stare fermo con la mente!

Inserisco la chiave nella serratura. Adesso potrò finalmente dormire.

Nel corridoio non c’è più nessuno.

Anche i tedeschi sono andati.

Un sospiro di sollievo mentre lancio le chiavi sul tavolo della cucina.

Veloce. Vado verso camera mia.

Finalmente mi portò levare i doc martens e …

Nel mio letto c’è ancora qualcuno.

Pascale, la ragazza tedesca, si tira su e mi saluta.

Mi costringo a continuare ad essere gentile per ancora qualche ora, anche se mi concedo uno sbuffo di nervosismo mentre sono chino a slacciarmi gli anfibi.

Appoggio con calma la giacca alla gruccia, mentre tengo lo sguardo lontano da Pascale.

L’altra sera a una festa in uno squat ho provato a baciarla. Trovavo molto sensuale il suo modo di ballare con me e quindi ho provato ad azzardare … non è andata come speravo ed abbiamo sorriso entrambi su quell’attimo di imbarazzo. La marea di gente che c’era quella sera ha dato ad entrambi la scusa per non parlare di quanto è accaduto.

Trattengo il nervoso dettato dalla stanchezza. Parlo piano. A voce bassa.

Non è nessun problema ad ospitarti, solo prossima volta avvisami se rimani una notte in più.

Si scusa. Mi chiede che ho fatto per tutta la notte, ma io vado veloce verso il bagno.

Sono le sette del mattino. Sono tre notti che non dormo. Ho appena accompagnato all’aeroporto una ragazza per cui ho preso una bella sbandata. Non ho voglia di parlare.

Ritorno in camera pronto a dormire su una specie di divano letto. Due materassi di gomma piuma cuciti assieme e coperti da un po’ di stoffa.

Ma cosa fai?

Mi metto a dormire.

Ma vieni qui, lascia che vado io a dormire lì. Vieni a dormire nel tuo letto.

Non se ne parla. Non esiste che una mia ospite dorma su questa specie di divano, di letto … insomma qui sopra!

Ma dai, sei già stato gentile a ospitarci. Non puoi dormire lì.

Okey, ma allora? Dove vai a dormire tu? Non preoccuparti che per me non è un problema dormire qui sopra.

Ma vieni qui, no? Il tuo letto è abbastanza grande per tutti e due.

Ha ragione. Ho un letto che è più grande di un matrimoniale. In due ci si sta più che comodi. E dopo l’altra sera so che non ci sono intenti maliziosi. Nemmeno da parte mia.

E va bene.

Stanco e convinto mi metto sotto le lenzuola assieme a lei.

Ci mettiamo a dormire.

Poche ore dopo il sole ci sveglia. Siamo abbracciati. Le nostre teste sono vicine. Le nostre labbra sono vicine. I nostri corpi sono vicini.

E nostri occhi si stanno scambiando uno sguardo molto furbetto.

giovedì 20 gennaio 2011

Hitler: vegetarianesimo, musica e droga.



- Ciao a tutti ragazzi, e benvenuti alla nuova puntata de “I protagonisti con la storia”. Abbiamo qui con noi niente che meno che il Fhurer dei Third Reich: Adolf Hitler!!! Signor Hitler, come sta?

H: Molto bene, grazie...

- Lei è un famosissimo artista. Le sue opere hanno travolto il mondo intero, eppure il suo trionfo è finito in maniera irrimediabile durante il concerto al Bunker, il più grande alternative-bar di Berlino. Cosa ha da dirci a riguardo?

H: Vede, non era affatto facile tenere unito un gruppo così carico come i Third Reich. Va detto però che riuscimmo a stare in vetta alle classifiche europee per ben 6 anni, ed il nostro tour promozionale fu più che un trionfo agli inizi. Varsavia, Amsterdam, Bruxelles, Parigi: qualcosa di travolgente!

- Ma dopo ci fu la cancellazione della data londinese, e poi la più importante, quella a Mosca. Ne vuole parlare ai nostri microfoni?

H: Sì. Vede, molti pensano che la tappa moscovita venne annullata per motivi di ordine pubblico. Alcuni nostri fan, giunti sul posto con qualche giorno di anticipo, in un momento di esuberanza avevano combinato qualche guaio alla metropolitana. La realtà però è ben diversa. Il nostro manager Ribbentropp aveva preso i contatti con la Kremlyn, la più grande casa discografica russa, per combinare un mega-concerto con oltre 250mila persone sotto Natale. Ma la casa discografica aveva l'esclusiva con i Red Stalin and the Leningrad Warriors, il gruppo heavy metal che andava alla grande ai tempi. Il loro manager, Molotov, mise in moto i loro avvocati per bloccare tutto. Sapevamo di cosa erano capaci. Grazie a quel gruppo di legali, Red Stalin era riuscito a sottrarre la scena ai Permanent Disorder, la cult-band di Trotsky: venne costretto a scordarsi del mercato russo ed approfittò del suo tour, per stabilirsi in Sud America. Per sua fortuna riuscì a mantenere un discreto pubblico di nicchia molto affezionato. La sua leggenda continua tutt'ora.

- Ci ricordiamo perfettamente del cantante dark Trotsky, ucciso da un esaltato fan dei Red Stalin. Ritornando a noi, dopo la disdetta della tappa a Mosca, seguirono altri insuccessi. Di cui ne fecero le spese anche il vostro gruppo spalla, Mussolini and the Blackbeaters.

H: Si, fu un vero peccato: le loro sonorità ska erano inimitabili.

- Un gruppo importantissimo che in Italia ebbe un successo ventennale, sparirono anche loro nell'ombra dopo il tour con i Third Reich. Ma di preciso che successe? Dopo la faccenda con la Kremlyn, fu la volta del mercato arabo e nord africano, me neppure là incontraste molto successo...

H: Nient'affatto: la gente ci voleva molto bene. Ma una compagna denigratoria della stampa bigotta e la censura che fecero sui nostri cd i vari governi locali ci obbligarono a ritirare da là i nostri dischi. E pensare che si aveva preso i contatti per fare un concerto proprio sotto le Piramidi. Ne rimase molto deluso Rommel, il tastierista, che per qualche mese lasciò la band per venire sostituito con l'eclettico Keitel. Quello che poi iniziò al carriera nel cinema...

- E chi se lo dimentica! Keitel: il bravissimo artista a 360 gradi. Dopo l'esperienza con il suo gruppo partì come attore con Taxy Driver, a fianco di Robert de Niro. Però come al solito qui si divaga: lei come crede che si sia arrivati allo scandalo del Bunker, che segnò in maniera definitiva la storia e i successi dei Third Reich?

H: Come dicevo all'inizo, tenere unita una band come i Third Reich non era affatto facile, specie dopo i duri colpi avuti a Mosca e in Nord Africa. Si stava accumulando un grande stress, e la nostra casa discografica, la Wehrmacht, era sempre più esigente. Sopratutto dopo l'arrivo in Normandia della band inglese dei Beatles. C'erano poi i Red Stalin and the Leningrad Warriors che avevano sempre più successo. Si accumulava sempre più stress, sempre più tensione. Molti di noi cominciavano a non reggere più...

- Ci furono per voi le prime grane giudiziarie. Himmler, il bassista, venne fermato dalla polizia dopo una rissa fuori da un fashion bar, il Bergen Belsen. I problemi legati al mangiare del batterista Goering. Rosenberg, il vostro chitarrista, fu arrestato dopo la guida in stato di ebbrezza assieme ad una prostituta. Ed i sempre più grandi problemi legati al gioco di azzardo di Goebbels, il maestro alle distorsioni, che voci dicono avesse iniziato a farsi di eroina. Sembrava che solo Keitel non avesse problemi.

H: Perchè era entrato da poco. Rommel invece si ingozzava di antidepressivi.

- Perfino lei che era convinto Straight Edge, ebbe problemi legati all'abuso di sostanze. Ne vuole parlare?



H: non ho problemi a parlare di queste cose. In fin dei conti è successo molto tempo fa ormai. La tournee, gli scazzi interni al gruppo, ed il non poter vedere la mia fidanzata Eva quanto e quando volevo, mi avevano buttato parecchio giù. Sono sempre stato un convinto vegetariano e contrario ad ogni tipo di droga, ma nonostante questo cominciai ad ingoiare barbiturici come fossero caramelle. Il disastro di Berlino non fu che una naturale conseguenza.

- Lei ed Eva Braun, la sua fidanzata, veniste infatti trovati nei vostri camerini in overdose di alcool e metanfetamine. La stampa non fu affatto leggera con voi: si accanirono sul caso come degli sciacalli. L'ultimo concerto fu comunque qualcosa di spettacolare: siete stati in grado di trasmettere un'energia, una grinta ed una rabbia di gran lunga maggiori rispetto a quelle sensazioni che si potevano riscontrare ai concerti degli esordi...che avvenne?

H: La tensione e lo stress riuscimmo a catalizzarle e trasformarle in musica. Perfino i critici sostennero che l'ultimo concerto dei Third Reich fu il migliore ed indimenticabile. Però poi tutto venne a galla e la situazione esplose: il suicidio di Rommel e la mia overdose furono i detonatori che portarono alla disgregazione del gruppo. L'8 maggio ci sciogliemmo ufficialmente.

- Dopo 12 anni di successi ed un tour europeo durato 6 anni, la band punk-emo dei Third Reich si sciolse. Che ne fu dei vari componenti del gruppo?

H: questa è la parte più triste. Himmler mori suicida in carcere dopo che venne scoperto a letto con un orata ancora minorenne. Goering subì un processo per per abuso e detenzione di brautwurst. Rosenberg fuggi con una scimmia dello zoo di Berlino ed ebbe con lei una avventurosa relazione durata qualche mese, durante la quale dissipò quasi tutti i suoi soldi in hotel di lusso, droga e noccioline. Goebbels sparì del tutto dalla circolazione: sembra che avesse troppi debiti con troppa gente con cui era bene non essere in debito. Keitel fu l'unico a uscirne bene: dopo aver superato al sua dipendenza dallo sniffare zucchero a velo dai pandori, iniziò una promettente carriera nel cinema.

- Ma pure lei, signor Hitler, può dire che non le andò del tutto male. Dopo un anno di clinica, emigrò in Sud America assieme a Ribbentropp e là scrisse romanzi che diventarono leggendari. Penso che tutti abbiano almeno sentito parlare di “Cennt'anni di solitudine”.

H: Vero. La mia carriera come scrittore fu un altro successo per me, molto più tranquillo del precedente. Fu anche un ritorno al mio primo vero amore: la scrittura. Prima ancora che diventassi cantante e frontman dei Third Reich, all'epoca in cui suonavo l'industrial degli NSDAP, scrissi un libro che poi divenne il manifesto artistico degli emo: veniva raccontata la storia di questo ragazzo molto turbato nel suo animo, diviso tra l'amore per la sua ragazza e la sua passione per l'impegno civile.

- Era molto toccante, seppur ancora stilisticamente grezzo il suo “Mein Kampf”: mi ricordo che molte ragazzine lo innalzavano a suoi concerti...

H:...pratica che più tardi mi copiò il dj Mao...

- ...verissimo! Già si poteva leggere in quelle righe così scarne e semplici, una profonda umanità ed un profondo tormento. Tutti quei sentimenti, quelle emozioni e passioni che poi lei ed il suo gruppo riusciste a trasformare in splendida musica. Sente ancora i suoi vecchi amici?

H: Purtroppo no. Abbiamo perso i contatti. Goering gestisce un ristorante a Postdam. Keitel, come tutti sappiamo, è attore. Due non sono più con noi e Goebbels chissà dove è finito. E di lui mi dispiace tantissimo, perchè gestiva personalmente la grafica e la pubblicità del gruppo in maniera inimitabile. E le sue distorsioni, il sound che riusciva a creare, era qualcosa di unico. Di Ribbentropp, il nostro manager, dopo che andò in Cile, non ne seppi più nulla...

- Mi sembra che produsse gli “Un Dos Pinochet”, una band che cercava di rifarsi a Mussolini and the Blackbeaters, ma con scarso successo. Signor Hitler, lei con un gruppo da quattro soldi e di belle speranze, riuscì a portare il genere Emo alla ribalta, facendone una corrente culturale: non solo musicale. I Third Reich furono gli esponenti di punta. Non solo diffuse l'emo, ma contribuì al riemergere di generi quasi scomparsi come lo ska degli italiani Mussolini ed il punk dei giapponesi Hi-Riot-O. Favorì la crescita di gruppi locali, come il combat-folk degli spagnoli Franzisk Falangist. C'è da chiedersi come spiega tutto questo successo, ma è una domanda banale. Piuttosto ha rimpianti o rimorsi di sorta?

H: Rimpianti nessuno: ho fatto tutto quello che volevo fare. Rimorsi uno solo: vorrei che le cose con Eva fossero andate meglio. Dopo l'overdose al Bunker, le cose non fecero che peggiorare: il suo amore divenne una ossessione. Per paura di perdermi, e di perdersi, mi stava sempre addosso, diventando morbosa. Quando non c'ero e ritornavo a casa, le sue scenate di gelosia erano qualcosa di insostenibile. Quando poi me ne andai mi raccontò che tentò il suicidio ingoiando una boccetta intera di sonnifero: si svegliò con l'alito freschissimo. In realtà aveva ingoiato delle mentine extra-forti. Penso che il suo comportamento fosse anche colpa mia: durante il successo non c'ero mai e quando le cose iniziarono a peggiorare la feci sprofondare nei mie capricci. Questo è l'unico rimorso che provo.

martedì 30 novembre 2010

lunedì 29 novembre 2010

venerdì 6 agosto 2010

Just fucking words, kid!

Il mio long island ice the era arrivato a metà. Io e il mio collega eravamo già in là con le consumazioni e le parole, quando sono arrivati ad aggiungersi al tavolo suo fratello ed un altro dei nostri.

Discorsi separati.

Si cercava di portare un punto a discussioni aperte da prima. Argomenti diversi, iniziati in locali differenti.

Ogni tanto buttavo l’orecchio a cosa dicevano gli altri due.

Una quinta persona si aggiungeva. Una ragazza. Un mojito in arrivo.

Un brindisi.

Alla pace.

Si brinda. Il terzo è combattuto fra il dubbio e il divertimento.

Non sarai anche comunista?

La frase non era polemica. Era una serata di relax. Non si voleva creare situazioni di attrito ideologico. Al massimo ridere sulle nostre convinzioni.

Lei ha negato.

Lui ha riso. Ha ripreso a parlare con il fratello del mio collega.

La mia ragazza era così. Poi sono riuscito a convertirla.

Era universitaria?

L’ha fatta per sei anni.

Allora si capisce. Poi quando molla, scopre il mondo reale e le cambia tutto. A Cividale sentivo alcuni ragazzini che facevano certi discorsi. Poi scoprivi che erano figli di industriali, dottori … ragazzo mio. Capisci che qualcosa non torna.

Qualcosa non tornava proprio. Ma non da quella serata. Ma da tanti anni.

Il progetto di un mondo migliore, per cui non hai bisogno di una laurea in sociologia per capirlo ed esprimerlo.

Non torna. Manca questa realtà di cambiamento e progresso che si evolve ogni giorno, e che migliora. Migliora perché a farlo sono le persone che la vivono. Senza ragionamenti sulla cadute dei saggi di profitto o teorie di fabbrica diffusa e operaio sociale. Non torna.

Quelle sono solo parole. Magari alla base del cambiamento. Però parole che non fanno vivere chi ne ha bisogno. E se servono solo a riempire la bocca a ragazzi annoiati, significa che la loro efficacia è stata smarrita da tempo.

È quando quelle parole fanno tremare i polsi a chi indossa la maglietta del “che” il sabato e quella d-squared la domenica, che qualcosa sta succedendo. Le parole che fanno sorridere il ragazzo ultimo della classe, che ha più sospensioni che voti. Che fanno vedere una via d’uscita a chi pensava di non averne.

Parole che fanno terrore a chi ha la possibilità di andare all’università, ma che sono le più belle favole per chi non è riuscito nemmeno a finire le medie.

Quelle parole. Sono le parole che ci mancano.

Le parole che sono aria da respirare e acqua da bere.

Parole che sono realtà.

giovedì 8 luglio 2010

Jacquerie

Tra le poche cose di cui sono sicuro, dopo che è la terra che gira attorno al sole, è che io non sono per niente capace nel fare analisi politiche. Tanto meno provare ad accostarmi a calibri del peso di Curzio Maltese.

Però ha suscitato anche in me un certo interesse il suo articolo sui giovani, uscito il 2 luglio.

Sono mesi che ci penso. I motivi che abbiamo per incazzarci sono tanti. Non serve nemmeno più sfogliare il giornale, o uscire di casa, per trovarne uno. Ci bastano i genitori che ci asfissiano sulla cronica mancanza di soldi. Il mattino presto. A colazione.

Non sono le motivazioni che scarseggiano. E neppure le capacità. Nemmeno bravi a incazzarsi ...
Perchè quando vogliamo incazzarci, sappiamo farlo per bene. Come nell'autunno del 2008: mesi di cortei spontanei, conclusi con una manifestazione nazionale (autogestita) ed un'assemblea nella Sapienza occupata, molto produttiva.

Forse produttiva non poi così tanto, visto com'è andata a finire. Ma ci siamo lo stesso trovati bene tra di noi. Peccato che non è stato sufficiente per far soppravvivere la nostra rabbia.

Quello che ci è mancato, e ci manca, è una progettualità, un'alternativa. Una via di fuga. Dalla realtà sociale in cui viviamo, e in cui ogni giorno affoghiamo.

Non che non ci abbiamo provato in quei mesi. Però non abbiamo nulla da proporre in alternativa a questa gestione della società. O se ce l'abbiamo, sono schemi ormai obsoleti, incompleti, o dallo scarso riscontro reale.
In una parola: inefficaci.

Ci manca una teoria che ci dia le chaivi per interpretare il mondo in cui viviamo, e che ci permetta di modificarlo sulla base dei nostri desideri.

Senza questo, gli atti di legittima e doverosa incazzatura, che comunque ci sono, sono destinanti a spegnersi per mancanza di prospettiva. Ribellioni senza sbocco, che magari distruggono la causa del male, ma che non mettono poi nulla al suo posto. Nulla di buono almeno.