giovedì 8 luglio 2010

Jacquerie

Tra le poche cose di cui sono sicuro, dopo che è la terra che gira attorno al sole, è che io non sono per niente capace nel fare analisi politiche. Tanto meno provare ad accostarmi a calibri del peso di Curzio Maltese.

Però ha suscitato anche in me un certo interesse il suo articolo sui giovani, uscito il 2 luglio.

Sono mesi che ci penso. I motivi che abbiamo per incazzarci sono tanti. Non serve nemmeno più sfogliare il giornale, o uscire di casa, per trovarne uno. Ci bastano i genitori che ci asfissiano sulla cronica mancanza di soldi. Il mattino presto. A colazione.

Non sono le motivazioni che scarseggiano. E neppure le capacità. Nemmeno bravi a incazzarsi ...
Perchè quando vogliamo incazzarci, sappiamo farlo per bene. Come nell'autunno del 2008: mesi di cortei spontanei, conclusi con una manifestazione nazionale (autogestita) ed un'assemblea nella Sapienza occupata, molto produttiva.

Forse produttiva non poi così tanto, visto com'è andata a finire. Ma ci siamo lo stesso trovati bene tra di noi. Peccato che non è stato sufficiente per far soppravvivere la nostra rabbia.

Quello che ci è mancato, e ci manca, è una progettualità, un'alternativa. Una via di fuga. Dalla realtà sociale in cui viviamo, e in cui ogni giorno affoghiamo.

Non che non ci abbiamo provato in quei mesi. Però non abbiamo nulla da proporre in alternativa a questa gestione della società. O se ce l'abbiamo, sono schemi ormai obsoleti, incompleti, o dallo scarso riscontro reale.
In una parola: inefficaci.

Ci manca una teoria che ci dia le chaivi per interpretare il mondo in cui viviamo, e che ci permetta di modificarlo sulla base dei nostri desideri.

Senza questo, gli atti di legittima e doverosa incazzatura, che comunque ci sono, sono destinanti a spegnersi per mancanza di prospettiva. Ribellioni senza sbocco, che magari distruggono la causa del male, ma che non mettono poi nulla al suo posto. Nulla di buono almeno.

venerdì 2 luglio 2010

Fenice - L'assaggio di una più grande storia


Freddo.
Tutto ciò che ci era rimasto era il freddo.
Finiva di accompagnarci, mentre trascinavamo le nostre gambe verso la periferia.
Gambe livide dalle botte. Occhi gonfi dai lacrimogeni. Qualche osso fratturato dai manganelli.
Però c’eravamo tutti. Una sessantina camminavano verso la periferia ovest. Sulle. Nostre. Gambe.
In fila indiana.
Rasente gli edifici.
Lontano. Dalle vie principali. Le più illuminate. Le più trafficate. Le più. Controllate.
Dopo ore di battaglia attorno alle piazze della Scala, la polizia era partita con i rastrellamenti per le vie. Ci cercavano tutti.
E non sarebbe stato solo per qualche fermo.
Quella notte ci volevano morti.
Cortei duri ce n’erano stati in passato, ma la sera alla Scala era diversa.
La polizia ha accerchiato i vari cortei, senza dare possibilità di fuga.
Effetto mattatoio.
Noi ce l’eravamo cavata, ma non ci si poteva ancora chiamare salvi.
Come in corteo, abbiamo preso le vie più buie, in mezzo ai palazzoni di periferia. Alcune con nemmeno la segnaletica del caso.
Ma in quel momento erano i nostri Champs-Élysées. I fili tesi con la biancheria ancora ad asciugare, i nostri archi di trionfo.

Si incomincia a vedere la nebbia.

Maria, in testa al micro corteo, ci avvisava. Si stava finalmente arrivando verso la nostra zona.
C’era sempre la nebbia da noi. La notte.
E almeno lì, era una notte come le altre.
Ci si poteva perdere per quel labirinto di strade uguali, ma sapevi di stare a casa.
La nebbia ci avvolgeva con il suo velo protettivo, concedendo di immergerci in quel mare umido. Ci confondeva con il contesto di edifici grigi e smunti platani.
Mancava poco per casa.

Svuotate le ultime bocce. Cazzi nostri se ci beccano con quelle …

Con le nuove disposizioni legali le bottiglie diventavano armi di guerra.
Se si era in due con una molotov facevano cinque anni. Banda armata.
Cazzi tuoi.
Cazzi tuoi se ti servivano per coprirti da un cordone di autoblindo che correvano imbizzarrite verso di te, con la chiara intenzione di lasciare il tuo corpo sull’asfalto.
Banda armata.
Cinque anni.
Cazzi nostri. Per davvero.
Due di noi si erano avvicinati ad un tombino con le nostre ultime bocce nelle sacche.
Tolto lo stoppino di innesco, svuotavano il combustile.

Ce l’abbiamo fatta finora. Svuotiamo tutto perché siamo quasi vicini alla nebbia.

Nebbia.
Udire quella parola ci rincuorava.
Non facevo che ripetermela nella mia mente.
Alleviava la tensione che non voleva saperne di abbandonarci.
Mi accendevo una sigaretta poggiato al muro, mentre i due compagni finivano il lavoro.
Guardavo gli altri, anche loro come me: tutti occupati a dimostrare di non avere la mente occupata dall’unico pensiero che potevamo avere in testa.
E se non lo avevi eri uno sprovveduto. O uno stupido.
Quel nervo continuamente teso, che ti irrigidiva il collo e ti faceva tenere strette le chiappe, ci era in realtà utile.
Salvifico.
I nostri occhi scrutavano qualunque cosa potesse muoversi nel buio.
Le nostre orecchie erano pronte a recepire qualunque rumore.
Tra noi si sussurrava appena. Era sufficiente parlare a bassa voce.
Nel caso, bestemmiare. A bassa voce.
Stefano aveva cominciato a tirare giù madonne.
Tutti noi provavamo a capire dove guardasse.
Ma lo aveva già fatto lui. Per noi.

Oh, fermi! In posizione diocane! Ci sono due auto dei carabinieri!

Le cercavamo. Con avidità. Dove. Cazzo. Erano?

Non ci hanno ancora visti.

Dove. Porca. Troia. Erano?

Tutti a terra! Quel camion. Sotto!

Che si potessero. Fottere.
Ho seguito il consiglio. Mi ci sono buttato. Sotto.

Gli altri dietro i cespugli e a terra nei giardinetti!

Andavano. A rifugiarsi nei cortili. Dei condomini.

Merda! Abbiamo svuotato quasi tutte le bocce e ce ne sono rimaste solo due! Porcoddio proprio in questo momento …

Stefano si mise sotto. Con me. Nel camion.
Guardai i suoi occhi. Le mie mani. Corsero su quelle di Pietro. La bella pensata di accendersi la cicca.
Proprio. In. Quel. Momento.
Gli strinsi forte. Le nocche.
Non fu il caso. Dirgli.
Coglione.
Lo aveva capito. Da solo.
Ritornai. Osservare la strada. Paralizzato.
Accarezzavo. La spranga. Finalmente. Due carabinieri camminare.
Venti metri. Da noi. Non di più.
Sagome nere. Confuse.
La chiara punta di luce. Sul berretto.
Quanti eravamo? Con i bastoni?
Chi? era rimasto con quelli?
Quasi tutti. Li avevamo lasciati. Lungo. La. Cazzo. Di. Strada.
Le spranghe con i caramba. Ce le potevamo ficcare. Su per il culo. Tranquillamente.
Loro. Non avrebbero scherzato. Nel vederci.
Senza bocce non ce la possiamo fare.
Stefano. Mi sussurrava. Nell’orecchio.

Dove sono finiti quei rotti inculo delle staffette?

Muti.
Asfaltati. Sulla strada.
Guardavamo i carabinieri.
Non osavamo immaginare. Cosa? se ci avessero visti ...
Saremmo scattati.
Punto.
Qualunque cosa. Significasse.
Il freddo. Saliva dalla strada.
Attraversava. Giubbotto. Maglione. Pelle.
Afferrava le budella. Stringendo. Forte.
Le dita. Dure. Doloranti. Ghiacciate. Mordevano. La sbarra di acciaio.
Le punte. Della dita. Non riuscivo più. A sentirle.
Maledetto. Dicembre.
Maledetti. Carabinieri.
Maledetta. Prima della scala.
Il labbro interno. Quasi sanguinava.
Quanto lo stessi mordendo. Non mi ero accorto.
Luci in giro. Nemmeno una.
Solo i fari. Le volanti. Fendono la nebbia.
Iniziavano. A muoversi.
Arretravano.
Giravano. A sinistra.
Tiravano. Dritte.
Mi sono afflosciato. Sulla strada. Il mio sbuffo. Alzava una piccola nuvoletta di polvere. Sorridevo. Come un bimbo.
A passo di leopardo, mi sono sfilato da sotto il camion. Fuori c’era già Stefano, assieme ad un’altra manciata di compagni. Mani sulle spalle, fissavano nella direzione in cui erano andate via le due auto.
Non c’era più nessuna luce.

Woa! Santa nebbia ci ha aiutato ancora.

Gianni si era appena risollevato dal cespuglio in cui si era tuffato. A colpo di palmi si ripuliva i pantaloni.

Se ne sono andati senza vederci. Cristo, che paranoia … se continua così me ne vado ai tropici, altro che circoli giovanili. Ma avete visto quanta pula che ci sta in giro?

Hai ragione: il territorio si sta militarizzando giorno per giorno.

Taac! Frase fatta.

Prendevamo sempre per il culo Stefano per le sue sparate, come se stesse citando un libro. O un articolo. Sempre molto deciso nelle azioni. Ma non il migliore tra gli oratori.
Però era vero. I blocchi stradali erano sempre più frequenti. Attivi tutti i giorni, per 24 ore al giorno, si spostavano a ore diverse per tutti i quartieri di Milano.
Più di una volta era accaduto che qualcuno si facesse un paio di giorni dentro. Bastavano un paio di bocce di birra vuote rimaste tra i sedili.
Ogni volta che ti fermavano e ti riconoscevano attivista erano provocazioni e prese per il culo. Compagniucco. E tu muto. Vieni con noi che ti facciamo blu. A ingoiare ancora merda.
Potevamo stare abbastanza tranquilli. Ora.
Mancava poco per le nostre strade.
Ci siamo rimessi in cammino.
Prima ci saremmo arrivati e prima ci saremmo potuti rilassare, e godere di quella sottile soddisfazione che la tensione stava partorendo poco a poco.
A sinistra cominciavo a scorgere un edificio azzurro a due piani, ed una nebbia più densa.

Anche questa volta ce l’abbiamo fatta, cazzo!

Finalmente.
Gianni ha tirato fuori dalla giacca una fiaschetta di whiskey, offrendo un goccetto anche per me.
Il blocco di ghiaccio che avevo sulla nuca defluiva lungo la schiena, concedendomi quella stiracchiata che ti fai solo dopo grandi scopate.
Sandro agitava il bastone per aria, facendo degli invisibili otto.
Maria si abbracciava a Gino e lo copriva con delicatezza di baci.
Walter si massaggiava il braccio, tenendo stretta la Ms tra le labbra.
Molti altri si accarezzavano le parti livide, ma avevamo di che essere soddisfatti.

Avevamo proprio ragione di andare a molestare questi ricconi che prima mettono in piedi l’austerità e poi vanno a pavonarsi alla prima della scala, impellicciati e ostentando i loro gioielli, pagando dei prezzi allucinanti per i loro biglietti.

Un biglietto per la prima esibizione della stagione teatrale alla Scala era arrivato a costare la metà di uno stipendio medio.
I giornali da anni ci bombardavano sul bisogno di un ritorno all’austerità per superare la crisi energetica.
Le domeniche pomeriggio a piedi. I cinema chiusi alle 22. La tv che smette di trasmettere alle 22.45.
Limitazioni per tutti.
Tranne che per loro. Che non potevano rinunciare alla loro annuale passerella.
Abiti su misura. Rolex. Orecchini con diamanti. Cappotti di cachemire. Collane d’oro. Pellicce di visone. Code di volpe.
Lusso sputato in faccia a una città che era costretta ai film tagliati nei cinema di seconda visione.

È proprio la prima per i ladroni. Ma questa volta ci siamo fatti sentire. Anche noi vogliamo andare alla prima della scala a prezzo politico. Mica siamo dei coglioni! Mi è sempre piaciuta l’opera …Corsivo
Michele ha guardato con due occhi grandi come due fanali quanto diceva Sandro ed è poi esploso in una fragorosa risata.

Ma che cazzo dici!

Taci porcoddio, che ci sentono.

Si, ma ti ho sempre visto andare a vedere arlecchino, altro che l’opera.

Lo so, lo so. Ma perché non sono mai riuscito a comprarmi i biglietti. Poi non ho mai avuto l’abito da sera, e il nodo alla cravatta non lo so fare.

Ridacchiava mentre si lisciava quei suoi folti baffi.
Volevamo ributtare in faccia quella costosa ostentazione di sfavillante benessere, interdendo l’accesso all’esibizione teatrale. Contro l’austerità ed il diritto a tutti per una cultura di qualità.
Nei nostri quartieri c’erano solo cinema di seconda visione, alle volte anche di terza, che mandavano film tagliati in più punti. Mai che ci si riuscisse a vedere un bel film per intero, a meno di non andare in centro e pagare un biglietto caro il doppio.
Volevamo anche noi vederci i bei film, o sentirci le belle canzoni, senza per questo dover rinunciare a buona parte del nostro stipendio.
Già da un po’ di tempo si era partiti con la pratica delle autoriduzioni, presentandoci in qualche centinaio di noi, ragazzi di periferia, fuori dai cinema a contrattare il prezzo con il gestore. Se non ci stava, sfondavamo le porte e ci beccavamo gratis il film.
Stesso discorso per i concerti. Anche se con gli impresari teatrali dopo alcuni mesi si era riusciti a concordare l’apertura dei cancelli non appena la banda avesse iniziato a suonare.

Ragazzi, la cosa più bella è vedere la quantità di gente che è venuta al nostro appuntamento non me l’aspettavo una partecipazione così di massa … malgrado che quelli dell’emmellesse e della figgicci avevano fatto di tutto per boicottare la nostra mobilitazione …

Alle assemblee cittadine si aveva deciso di applicare lo stesso discorso di autoriduzione con la prima della Scala.

Andiamo là, tutti noi dalle periferie, e chiediamo di vedere anche noi l’Otello a prezzo politico.

Gli stalinisti del partito e dell’università hanno fin da subito boicottato la nostra iniziativa, usando i loro giornali per fomentare un clima di scontri, mentre loro intanto davano appuntamento per una contestazione pacifica. Un semplice cazzo di inutile presidio, lontano anni luce dagli sfarzi della Milano bene.

Che stronzi che sono! Non mi meraviglio però: sono sempre stati dei pompieri e adesso c’ho l’impressione che diventano dei delatori …

L’Unità il giorno prima si chiedeva quali fossero gli occulti e abili disegnatori di un quadro fatto di violenza e disordine, provocato dalla pratica delle autoriduzioni: “iniziazione a riti più pericolosi e violenti”. Spendendo in più, in modo cinico e macabro, la ricorrenza della strage del 12 dicembre, che cadeva meno di una settimana dopo.
Noi ci siamo organizzati per partire in tre punti diversi della città, per convergere verso piazza Duomo.
Non sarebbe stato facile, e lo sapevamo. Il Comune non aveva alcuna intenzione di rovinare la festa dei suoi più ricchi e potenti elettori. Non eravamo i giovani e ribelli figli della borghesia, alla Mario Capanna. Eravamo sporcaccioni che con il loro bel mondo non c’entravano nulla. E mai avrebbero dovuto avere a che farci.
La prefettura aveva vietato ogni autorizzazione alle contestazioni, fuorché al presidio degli statalini.
Si preannunciava una notte illuminata a giorno dal fuoco di mille molotov.

Non me l’aspettavo una reazione così brutale della celere. Ho ancora il braccio fracassato da quel lacrimogeno lanciato ad altezza uomo che mi ha preso di striscio mentre scappavo. Ho il braccio che è tutto un livido: guarda quanto è gonfio! Quei bastardi non esitano a spararli ad altezza uomo quei candelotti. Me la sono fatto addosso quando mi è passato il secondo candelotto sotto il naso, per fortuna Riccardo mi ha tirato giù secco altrimenti mi avrebbe spaccato la mascella.

Più di tremila persone.
Stavamo entrando in Largo Cairoli.
Dal corteo il coro.

SÙ SÙ SÙ
I PREZZI VANNO SÙ
PRENDIAMOCI LA ROBA
E NON PAGHIAMO PIÙ

Quelle parole.
Urlate. Da migliaia di giovani. Suonavano. Come un’unica voce.
Le saracinesche dei bar. Si abbassavano.
I passanti. Non erano più solo. Curiosi.
Quelle parole.
Esproprio.
La piazza. Tutta per noi.
Ma non volevamo riappropriazioni. Materiali.
Volevamo.
La.
Scala.
La polizia non attese. Cominciò subito. Piovevano lacrimogeni.
Prima in alto. Verso il cielo.

Pufffff.

La larga e bianca traiettoria. Ad arco.

Pufffff. Pufffff.

Poi. Sempre più in basso.
Quella linea. Bianca. Sempre più dritta. Per ogni passo fatto. Verso loro.

Pufff. Puff. Puf.

Fazzoletti sul volto. Recuperavamo i candelotti. Li rilanciavamo al mittente.
Fino a quando. Non arrivavano sparati. All’altezza dei nostri petti.
Fino a quando. Non sono diventati. Schizzanti schegge impazzite. Sparate. Direttamente sull’asfalto. A pochi metri da noi.

Pam! Twoon!

Beccarsi uno di quelli. Sterno spaccato.

Pam! Pam!

Lontani. Fuori dal centro. Della strada.
Ci siamo lanciati. Sui marciapiedi.
E sulle auto.
In via Cusani i vetri. Si spaccano.

Crash!

Le auto. Spinte verso il centro della carreggiata.
Unite con le catene. Si foravano le gomme.

Fiiiiiii.

VENITE BASTARDI!

Attendevamo. La loro carica. Boccia in una mano. Accendino nell’altra.
Esitavano.
Non volevano lo scontro. Fisico.
Non ancora.
Marco, una delle nostre staffette. In motorino. Ci aggiornava dalle altre zone.
Piazzale Loreto. Porta Romana. Piazza Argentina. Porta Ticinese.

LE CAMIONETTE. CI STANNO CIRCONDANDO.

Urlavamo. Il casino era troppo. Grande.

BAAAAM

Primi spari. Vetri in frantumi.
Saracinesce divelte.
Le fiamme. Danzavano. Sulle prima file di auto.
La vetrina alle mie spalle. Mille pezzi gioiosi.
Per pochi secondi. Costosi abiti da sera. Accessibili.
Un mostro di calore si alza. Arretro. Di qualche passo.
Seta pregiata. Costosissimo combustibile.
Uno dei mille roghi metropolitani.
Mi sono girato. Alla ricerca di un volto.
Solo occhi. Rapidi. Svegli. Giovani.
Nessun viso.
Fazzoletti. Passamontagna. Caschi.
Walter mi ha preso per un braccio.

MUOVIAMOCI. SU.

Corsi appresso a Marco.
In Foro Bonaparte numerose. Le autoblindo. Si muovevano verso di noi.
Ci volevano chiudere.

MA NON CI LASCIANO COSÌ VIE DI FUGA!

Ci volevano prendere.
Massacrare.

DOBBIAMO BLOCCARLI. LORO CON I BLINDO SONO FORTI.

METTIAMOGLIELI FUORI USO.

Pazzi. Abbiamo corso. Per tutta la piazza e lo stradone. Alla ricerca di volenterosi.
Alcuni. Si sarebbero fatti inseguire. Altri. Prendevano gli sbirri alle spalle. Facendo fuori le camionette.
Attirarli per le vie strette. Dove i gipponi. Sono inservibili. Costretti. Di seguirci a piedi.

CERCHIAMO QUELLI DEL GARIBALDI.

Non è un gioco. Farsi inseguire da dieci bestioni. La Celere. Con la bava alla bocca.

Bravo Jack! Non immaginavo che eri capace di correre così veloce con quelli attaccati al culo: sono proprio caduti nella nostra trappolina.

Gli sbirri. Seguivano il gruppetto di Jack. E Un’altra mezza dozzina. Di gruppetti come il suo.
Noi. in culo ai gipponi.
Pieni. Bocce in ogni tasca e borsa. Fuori uso quanti più mezzi possibile.
La loro strategia. Il circondarci. Consegnata alla storia.
Senza le macchine. Nessun accerchiamento.
Marta era intenta a rollarsi una sigaretta mentre ci raccontava la sua esperienza da centometrista di piazza.

Vaffanculo! La prossima volta lo fai te questo: il parà della folgore mi ha sfiorato col manganello la nuca. Quell’infame mi urlava se ti prendo ti inculo figlia di puttana … aveva gli occhi da pazzo … lo sai che quando sento queste parole non ce la faccio più. Anche se non potevo fermarmi di correre l’ho fatto. Mi sono fermata di botto ed ho tirato fuori la bottiglia. Ho acceso la boccia e l’ho tirata, centrandolo sullo scudo. Dovevi vedere questo duro che spaghetto ha preso … per fortuna che ho svoltato subito a destra nella viuzza perché ho visto con la coda dell’occhio che stava tirando fuori la pistola …

Marco non era altrettanto entusiasta. Non la smetteva di toccarsi il pacco.

Si, mentre tu la lanciavi mi sono piombati in due e mi hanno massacrato. Per fortuna che avevo il casco, ma le palle me le hanno distrutte. Se non fossero arrivati Paolo e gli altri sarei all’ospedale in coma …

Ad alcune nostre staffette è capito di riuscirci. Di arrivare alla scala. O almeno, di avvicinarsi.
Vestiti da regolari, senza sciarpette o eskimo del cazzo. Puliti, senza bocce o mazze. In sella a qualche bicicletta o motoretta.

Potete dire quello che volete, ma da lontano ho visto quelle impellicciate e gli altri in smoking che tentavano di entrare nella scala un pò in paranoia. Io e Alberto siamo riusciti ad arrivare a duecento, trecento metri dall’entrata. Quegli stronzi erano davvero in sbalorditi di quello che stava succedendo … Mi chiedo che avranno capito.

Quello che leggeranno sui giornali. Chissà quante stronzate verranno fuori.

A proposto: deve essere successo qualcosa. Sentivo urla, spari, sirene e gipponi a tutto gas dalla parte del bar Magenta.

Cazzo sì: ho visto il Casoretto sfondare e uscire dall’accerchiamento: ma a pelo! Non se fossero stati così determinati e guidati da generale Andrea li avrebbero accerchiati anche loro. Una parte del corteo è stato chiuso dalla celere. Urla, botte di tutti i tipi, fumo, fuoco. Sono stati davvero cazzi: deve essere successo veramente qualcosa di grave li.

Fra le mille voci che si rincorrevano, l’unica cosa di cui ero certo è che fra i vari concentramenti, eravamo davvero una marea. Un fiume umano sceso dai mille rivoli delle periferie. Determinati. Incazzati. Raccolti verso la Scala.
Ed anche Radio Popolare ha confermato la grande massa di gente che c’era. L’ho sentito sulla radiolina dai vari flash che mandavano a ciclo continuo.
C’era sempre qualcuno attaccato in alla cornetta in qualche cabina.

Ad ogni modo, bravo Walter! Questo volta le tue strade di fuga sono state molto importanti per non farci prendere …

Per fortuna che avevamo capito che la celere si era preparata per accerchiarci e massacrarci. Quasi quasi ci cadevamo anche noi … avevi proprio ragione che bisognava prima mettergli fuori uso i loro mezzi e farli entrare nelle viuzze. Quei fanfaroni a piedi e in piccoli gruppi se la fanno sotto …

La lunga serata cominciava a far sentire tutti il suo peso.
Io non riuscivo quasi più a reggermi in piedi, ed avevo ancora un bel pezzo da farmi prima di vedere il mio letto.
Provavo a tenere un po’ alta la testa. Appena qualche istante. Per leggere le facce dei miei compagni.
Gli occhi ci brillavano, anche se gonfi dai gas dei lacrimogeni.
Un sorrisetto furbo e perenne sul volto. Proprio non riuscivano a togliercelo. Nonostante le botte, i manganelli, la cariche con le camionette. Il nostro chiaro marchio di fabbrica.
Indistruttibili. Alla fine eravamo sempre qui a raccontarcela.
Nonostante i lividi. I muscoli gonfi e viola. Le ossa spezzate. I denti scheggiati. I polmoni avvelenati.
Il sorriso mai ce lo avrebbero tolto.

Ok ragazzi. Ci sentiamo domani …

… nel pomeriggio che è meglio.


Si fa un po’ il punto della situazione. Appena mi sveglio piglio i contatti con i collettivi delle altre zone.

Cazzo! Non ce la faccio più sono a pezzi e vedo che anche voi avete gli occhi esplosi.

Quei bastardi hanno usato un gas speciale per i lacrimogeni ho gli occhi gonfi e la pelle irritata …

Ma se eravamo veramente tanti …

Li ho lasciati a fare e disfare il racconto della giornata.
Domani si riavrebbe riavvolto la matassa.
Un'altra assemblea.
Un altro giorno di splendida vita.